Teatro

Laura Sicignano: "Il teatro è effimero, amo lasciare una traccia"

Laura Sicignano
Laura Sicignano

Da un teatro indipendente a Genova all'esperienza dello Stabile di Catania, in questa intervista Laura Sicignano racconta a Teatro.it la sua vita sul palcoscenico, tra speranze e sorprese. Con uno sguardo speciale sulle donne.

Dalle storie "pasionarie" di Donne in guerra a quelle delle sfortunate lavoratrici di Scintille,  Laura Sicignano ci ha abituati al gusto della diversità e a uno sguardo sempre curioso sul mondo. Dopo vent'anni alla guida del Teatro Cargo, realtà indipendente del ponente di Genova, ha sorpreso tutti volando in Sicilia, per dirigere il Teatro Stabile di Catania. A Teatro.it racconta la sua esperienza e i progetti per il futuro.

Da Genova a Catania. Da un teatro "sperimentale" a uno stabile. Che effetto fa un così grande cambiamento?
L'ho vissuto come una vera e propria rivoluzione. Mentre prima mi trovavo ad esprimere una mia linea in totale indipendenza, ora mi trovo all'interno di un ente che si pone con un ruolo preciso dentro un sistema istituzionale di riferimento. Dopo anni di salti mortali, mi trovo in un'esperienza nuova. L'aver vinto questo bando mi ha catapultato in una sfida professionale e personale che mi porta dall'altra parte d'Italia. E’ un'avventura interessante, ogni giorno complessa, ma io sono piena di passione!

Pensa che la sua vicenda rappresenti in qualche modo l'evoluzione delle realtà teatrali?
Credo di avere seguito ciò che i tempi indicano nel paese: oggi quelli che possiamo definire i "processi produttivi" determinano la creazione artistica e ho la sensazione che sia sempre più difficile, per chi fa del teatro una professione, lavorare in indipendenza e in dimensioni medio-piccole. Si verifica un fenomeno di sparizione a macchia di leopardo delle piccole realtà, che pure a volte dimostrano capacità singolari di resistenza, soprattutto grazie alla volontà espressa dal territorio di mantenerle vive.

Fuori dal centro, fuori dagli schemi è il titolo del libro che lei ha dedicato al Teatro Cargo. Perché scrivere un libro su questa esperienza?
Il libro sul Teatro Cargo doveva essere pubblicato nel 2014 per i primi 20 anni di vita del teatro, ma non è stato possibile completare il progetto per tempo. Quando ho capito che la mia avventura a Genova stava per concludersi, mi sono resa conto che volevo lasciare una traccia di questi 23 anni della mia vita spesi intensamente, in cui anche le mie amicizie, i miei rapporti umani più stretti sono ruotati intorno al teatro. Stavo per chiudere un capitolo, insomma, ma volevo raccontarlo per esteso. Il teatro è effimero e noi teatranti abbiamo così radicato questo senso di precarietà, bello ma anche doloroso. Voglio sperare che il libro resti come un'autobiografia artistica.

Genova le manca? Cosa di Genova ha portato con sé in Sicilia?
Genova mi manca più di quanto immaginassi. Noi Genovesi critichiamo sempre la nostra città ma ne sentiamo tantissimo la nostalgia. Catania è accogliente, vulcanica, strampalata. Sicuramente in Sicilia ho portato la mia mania di organizzare tutto in modo efficiente, di ottimizzare le risorse economiche e umane. Ho sempre voluto un teatro collegato con la società, che parli con le associazioni del territorio. Mi piacerebbe riuscire a portare una dimensione informale di dialogo con il pubblico, di vicinanza. Per questo ho sempre cercato di andare personalmente nelle università, nelle scuole, per avvicinare lo spettatore alla dimensione teatrale. E poi, siamo in tempi di piena spending review, mi sento pure attuale.

E da Genovese, come vede questo momento per la città, a due mesi e mezzo dal crollo del ponte?
Ero a Genova in vacanza quando il ponte è crollato. E' stato un trauma spaventoso per il quale non ci sono parole, ma ho trovato straordinaria la capacità della città di rimboccarsi le maniche ed essere solidale. Cerchiamo di far sì che da questa disgrazia nasca un'opportunità per ripartire, altrimenti la città rischia di trasformarsi in una cittadina.

Dalle lavoratrici di Scintille alla storia della Duchessa di Galliera, il suo è un teatro di donne per le donne. C'è un artista uomo con cui le piacerebbe lavorare?
Il primo che mi viene in mente è Umberto Orsini, attore di tradizione con grande capacità di essere curioso. L'ho visto in uno spettacolo con Pippo del Bono ed era poesia allo stato puro sul palco.

E una storia maschile da raccontare in scena?
Mi vengono in mente i miei progetti sulle storie di migranti e stranieri, come Vivo in una giungla, dormo sulle spine, oppure Andy Warhol Superstar. Quando mi innamoro di una storia, cerco sempre di portarla sul palco.
Però il prossimo anno apriremo ancora con una storia al femminile, come abbiamo fatto quest'anno con Scintille. E’ stato di nuovo bellissimo, Catania l’ha accolto con un calore che mi ha commosso.

Dal nord al sud, cosa accomuna i palcoscenici d'Italia, e cosa li rende diversi?
Li accomuna senz'altro la prevalenza di pubblico femminile. Quanto alle differenze, non saprei, forse fa parte delle cose... che ancora devo scoprire!

Vivo in una giungla, dormo sulle spine
Andy Warhol Superstar

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